La minaccia numero uno per tutti oggi è il terrorismo, per far fronte a questo fenomeno la strategia indispensabile è la cooperazione internazionale, in primis fra Russia e Stati Uniti. Contro il terrorismo è questa l’arma vincente.
A Roma il 24 ottobre è stata presentata l’Autumn School “Il terrorismo e le sue mutazioni geopolitiche” organizzata dalla Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (SIOI) e la NATO Defense College Foundation. Nel corso del convegno, svoltosi nella cornice della sede SIOI, è stato presentato il volume “Eurasia e jihadismo — Guerre ibride sulla Nuova Via della Seta” a cura di Matteo Bressan, uno dei relatori del convegno. Alla conferenza hanno partecipato anche Alessandro Minuto Rizzo, presidente della NATO Defense College Foundation, già vice segretario della NATO e la giornalista Domitilia Savignoni.
Il corso durerà dall’11 al 26 novembre e sarà rivolto a giornalisti, ricercatori, giovani laureati con lo scopo di fornire le conoscenze necessarie per interpretare il fenomeno del terrorismo nella sua complessità.
Il presidente della SIOI, Franco Frattini, aprendo il dibattito ha subito posto l’accento sull’importanza della cooperazione internazionale nella lotta al terrorismo:
“L’unica precondizione per combattere il terrorismo è la cooperazione internazionale. È una pazzia dividere la Russia dagli Stati Uniti, la Russia dalla Turchia. Se non si realizza questa coesione internazionale, si perde in partenza e si favorisce il Daesh. È necessario che le potenze regionali e globali cooperino, si scambino informazioni.”
Parlando dei diversi attori nello scenario siriano, Frattini ha auspicato che il recente accordo Putin-Erdogan porti la Turchia sulla retta via. Il presidente della SIOI ha inoltre espresso, con rammarico, che l’Europa in questo scenario, come anche ad altri tavoli su temi che contano, è un attore assente.
Al volume presentato al convegno “Eurasia e jihadismo — Guerre ibride sulla Nuova Via della Seta” (Carocci Editore) hanno partecipato, assieme ad esperti italiani, anche docenti russi e cinesi. Il libro tratta le cause e gli effetti del terrorismo. Anche se il Daesh sta arretrando, ha notato nel suo discorso il curatore del volume Matteo Bressan, l’importante è tornare alle cause che l’hanno creato, proprio perché questo fenomeno non si ripresenti più in futuro. Il libro, inoltre, presenta diversi identikit dei foreign fighters, ben 30 mila combattenti provenienti da tutto il mondo. L’Europa, come anche la Russia temono il ritorno dei foreign fighters in patria: si tratterebbe di 4 mila combattenti europei e 5 mila di origine russa. Nel volume viene anche trattato il pericoloso legame fra il terrorismo e il web.
A margine del convegno, Sputnik Italia ha intervistato Matteo Bressan, analista della NATO Defense College Foundation, curatore del volume “Eurasia e jihadismo — Guerre ibride sulla Nuova Via della Seta”.
— Il libro presentato oggi propone l’analisi del terrorismo nella sua complessità. Matteo Bressan, ce ne può parlare?
— Tenga presente che abbiamo coinvolto una serie di autori che con esperienze differenti hanno dato il loro contributo. Innanzitutto dovevamo coprire alcune aree interessate dal passaggio del progetto della Via della Seta, dovevamo approfondire tematiche specifiche, come ad esempio il finanziamento dei nuclei terroristici. Dovevamo avere anche una mappa dei foreign fighters globale, che in parte abbiamo cercato di analizzare per quanto riguarda la Siria e l’Iraq, affrontando altre aree come il Caucaso, l’Asia Pacifica e la Cina che hanno visto importanti numeri in termini di foreign fighters.
— Com’è mutato il terrorismo dall’11 settembre?
— Abbiamo avuto l’attacco l’11 settembre di Al-Qaeda con particolari modalità, che tutti definiamo nella loro drammaticità spettacolari. Al-Qaeda non si era posta l’obiettivo però di costituire uno Stato dove poi richiamare i fedeli. Nel libro parlavamo al passato dell’ISIS, perché sia la coalizione a guida americana, sia l’offensiva russa, anche se con obiettivi differenti, entrambe hanno colpito nel segno. Vanno aggiunte poi tutte le milizie che operano sul campo.
Il salto di qualità è l’accelerazione spaventosa di persone che si sono aggregate a questo gruppo. I foreign fighters in Afghanistan contro l’Unione Sovietica erano 20 mila in dieci anni, qui ne abbiamo avuti 35 mila fra l’estate del 2014 e il settembre del 2015. Abbiamo proposto nel libro 3-4 identikit dei foreign figheters. Abbiamo cercato di capire come la costruzione di questo Stato possa attrarre giovani e spingerli a prendere in mano un’arma, anche se non l’hanno mai fatto prima.
Io sono straconvinto che la caduta di Mosul in Iraq e quello che avverrà in Siria porteranno alla fine dell’ISIS. Dobbiamo capire se saremo in grado di risolvere le cause. Torniamo così al drammatico tema di un Medio Oriente disegnato sulla carta geografica nel 1916, un Medio Oriente che non io, ma Foreign Affairs definisce post americano. In questa regione si muovono molti attori, fra cui anche la Russia, ma nessuno da solo è in grado di portare la soluzione.
— Si è parlato molto oggi al convegno infatti di cooperazione internazionale. Qual è l’importanza della collaborazione fra Stati Uniti e Russia?
— Non si può pensare di risolvere questo fenomeno senza la cooperazione fra gli Stati. Sappiamo delle tensioni fra Stati Uniti e Russia, sappiamo delle divergenze sul futuro della Siria fra i due Paesi. Sappiamo anche del clima verbale che rievoca la guerra fredda, anche se io ritengo che non ci siano le proporzioni di quel passato. Di tutto abbiamo bisogno oggi fuorché del ritorno della guerra fredda.
Quello che in Siria è riuscita a mettere in campo la Russia più che su un profilo militare, su un profilo diplomatico, ci fa capire che nella drammaticità dei conflitti, in Siria si stanno ridefinendo gli equilibri. È chiaro che il blocco Russia-Cina e il dialogo con la Turchia hanno un peso geopolitico importantissimo, che ha la capacità di incidere sull’area. È altrettanto importante che si possa giungere ad una cooperazione, perché il tema è comune. Ci sono stati attacchi anche ispirati all’ISIS negli Stati Uniti. È vero che c’è una differente catalogazione dei gruppi che combattono in Siria, sia da parte russa sia da parte americana. La tregua che si era provato a instaurare i primi di settembre credo sia la strada per cercare di evitare che questo fenomeno costituisca una scia per il futuro. I combattenti che non verranno uccisi andranno a disperdersi altrove. È interesse di tutti quindi cooperare. Le tensioni fra due grandi attori come Stati Uniti e Russia ci sono, e fino a che non verranno smussate, continueranno a produrre problemi nell’area.
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Fonte: https://it.sputniknews.com/opinioni/201610253540514-cooperazione-usa-russia-contro-terrorismo/